L'ASSORBIMENTO INTESTINALE
Nel
capitolo precedente si è visto come dalla bocca all'esofago, dallo
stomaco al duodeno, il cibo viene sottoposto ad una serie di azioni meccaniche e
chimiche che modificano profondamente la sua struttura fino a quella del chimo
che dal piloro gastrico passa al duodeno. Tale modificazione continua nell'ileo
(detto anche «digiuno» che è la seconda parte dell'intestino
tenue) e nell'intestino crasso (o «grosso
intestino»).
L'ileo, che è dunque la
porzione compresa fra il duodeno e l'intestino crasso, ha una lunghezza di circa
8 metri e si distingue anzitutto dal duodeno perché è fluttuante.
Ripiegandosi più volte su se stesso, descrive numerose curve e la sua
mobilità fa sì che tali curve siano molto instabili. Come il
duodeno, lo stomaco e l'esofago, l'ileo è formato da tre strati: una
tunica esterna costituita dal peritoneo, una tunica media con muscolatura liscia
e una tunica interna mucosa che continua nel piloro con la mucosa dello stomaco
e alla sua estremità inferiore con la mucosa dell'intestino
crasso.
Questa tunica mucosa dell'ileo ha
però una struttura particolare: oltre ad essere rivestita da tessuto
epiteliale cilindrico, è cosparsa di numerose pieghe circolari che hanno
lo scopo di aumentare la superficie assorbente dell'intestino; inoltre è
ricoperta da un enorme numero di formazioni caratteristiche chiamate villi che
hanno il compito di assorbire le sostanze alimentari dopo che sono state
digerite. La fusione fondamentale dell'intestino tenue è dunque quella di
assorbire i prodotti della digestione, attraverso la grande superficie formata
da molti milioni di villi.
I villi intestinali sono
piccole sporgenze coniche che si sollevano su tutta l'estensione della tunica
mucosa interna dell'ileo e che le conferiscono un aspetto vellutato. Sono
costituiti da un reticolo di fibre connettive con cellule muscolari lisce e
rivestiti di grosse cellule epiteliali cilindriche. Tali cellule sono dotate di
un caratteristico orletto a spazzola. Ogni villo è attraversato per tutta
la sua lunghezza da un capillare linfatico (che prende origine dalla rete
linfatica esistente sotto la mucosa intestinale) il quale si arresta a fondo
cieco sotto l'apice del villo. Inoltre una rete molto fitta di capillari
sanguigni circonda completamente ciascun
villo.
Nella mucosa intestinale vi sono anche
numerose ghiandole di diverso tipo, alcune a grappolo, altre semplicemente
tubolari, e moltissimi linfonodi raggruppati in placche. Il chimo (cioè
le sostanze alimentari trasformate dallo stomaco e dal duodeno) passa nell'ileo
dove viene a contatto con il succo enterico prodotto appunto dalle ghiandole
intestinali. Disposte tra i villi, esse provvedono alla produzione di vari
enzimi. Il principale è l'erepsina che ha il compito di modificare quello
che resta delle sostanze proteiche già trasformate dalla pepsina nello
stomaco e dalla tripsina nel duodeno.
Il succo
enterico contiene altri fermenti che provocano le ultime trasformazioni degli
amidi e dei grassi, già modificati gli uni dalla ptialina della saliva e
dalla diastasi del succo pancreatico, gli altri dalla lipasi del succo gastrico
e dalla steapsina del succo pancreatico. Così modificato, il chimo si
muta in un liquido denso e filante, di colorito lattescente, che prende il nome
di chilo.
Occorre precisare a questo punto che la
digestione intestinale non viene ultimata dal succo enterico, ma a livello della
parete delle cellule specializzate che formano i villi. Per esempio, la maggior
parte dello zucchero è assorbita dalle cellule epiteliali dei villi e
nell'interno di essi si trasforma in zuccheri più semplici, il glucosio e
il fruttosio. Recenti indagini sperimentali hanno permesso di stabilire che
questa scissione dello zucchero si compie proprio nell'orletto a spazzola che
costituisce la parte esterna delle cellule epiteliali dei villi
intestinali.
Attraverso i villi avviene
l'assorbimento del chilo le cui sostanze solubili in acqua passano fra cellula e
cellula, e quelli insolubili, come i grassi (o lipidi) nell'interno delle
cellule stesse. Durante questo passaggio, nell'interno dei villi hanno luogo
complicati processi biochimici che trasformano ulteriormente le sostanze
assorbite. Per esempio, i grassi alimentari si trasformano in acidi grassi
destinati a nutrire i tessuti. Una rete di fibre muscolari lisce rende
allungabili e accorciabili i villi, che si comportano come spugne selettive,
azionate secondo criteri estremamente
precisi.
L'acqua e le bevande in genere passano
dall'intestino al sangue per una semplice differenza di concentrazione; e
così anche i sali solubili in acqua.
Il
glucosio (zucchero semplice), gli aminoacidi e i grassi, vengono assorbiti con
l'intervento di complesse forze fisico-chimiche e sotto lo stimolo della
circolazione sanguigna rapida e intensa.
Attraverso
i capillari linfatici dei villi, detti vasi chiliferi, passano soltanto i grassi
(e di questi, circa il 50%) trasformati, come si è detto, in acidi
grassi. Sono essi, che con le loro minutissime gocce in sospensione conferiscono
alla linfa il suo caratteristico aspetto latteo. Questi vasi linfatici
provenienti dall'intestino confluiscono a un grosso collettore linfatico, il
dotto toracico, che versa la linfa nella vena cava ascendente, cioè
direttamente nella circolazione sanguigna. Gli altri composti (glucosio,
aminoacidi) passano invece nei capillari venosi dei villi che si riuniscono
infine nella grossa vena porta la quale arriva al fegato che provvede alla
successiva elaborazione e utilizzazione di tali sostanze
nutritive.
Nei circa 8 metri dell'ileo avvengono
dunque i principali fenomeni di assimilazione, per cui il chilo subisce la
digestione massima e si riduce notevolmente di volume. La parte non assorbita,
spinta dai movimenti intestinali peristaltici (analoghi a quelli dell'esofago,
dello stomaco e dell'intestino tenue) passa nell'intestino crasso attraverso una
valvola detta ileo-cecale che serve per regolare il passaggio del rimanente
contenuto intestinale e ad impedirne il
reflusso.
L'intestino crasso, lungo circa un metro
e mezzo, viene distinto in quattro sezioni: il cieco, il colon, il sigma e il
retto. Dal cieco, che è la porzione iniziale del crasso, si stacca
l'appendice, quel notissimo organo tubolare a fondo chiuso, la cui funzione e
importanza sono tuttora oscure. La seconda parte dell'intestino crasso, il
colon, ha un decorso ascendente, trasverso e discendente. Il sigma, a sua volta,
descrive due curve a forma di S (da cui appunto prende il nome greco di sigma).
Il retto è l'ultima porzione dell'intestino e si apre all'esterno con
l'ano dotato di un anello muscolare (sfintere).
La
conformazione esterna dell'intestino crasso si differenzia da quella
dell'intestino tenue per la presenza di tre banderelle muscolari longitudinali
chiamate tenie. Anche il crasso è costituito da tre tuniche simili a
quelle della parte precedente dell'apparato digerente. La sua tunica interna
è rivestita da un solo strato epitelio-cilindrico e disseminata di
numerose ghiandole a tipo tubolare semplice.
Come
negli altri tratti del tubo intestinale (escluso il retto), il crasso riceve il
sangue dall'arteria mesenterica (un ramo dell'aorta) e lo distribuisce (compreso
quello del retto) fino alla confluenza della vena
porta.
La parte di alimenti non assorbita dall'ileo
passa, come si è detto, nell'intestino crasso, a cominciare dal cieco. È
questa un'ansa destinata, negli animali erbivori, alla digestione della
cellulosa che nell'uomo viene invece espulsa parzialmente indigerita e serve da
stimolo meccanico per l'eliminazione dei rifiuti intestinali. I residui
alimentari si raccolgono nel cieco dove possono restare anche 10÷12
ore.
A questi residui sono mescolati i pigmenti
biliari, i sali, le cellule mucose che si sono sfaldate dalla parete interna del
tubo intestinale (sono miliardi al giorno) e i succhi digestivi in
eccesso.
Tutti questi prodotti subiscono l'azione
di una ricchissima popolazione microbica, costituita da batteri di vario tipo e
da protozoi che vivono e si riproducono rigogliosamente nell'intestino senza
recare danno all'organismo, anzi cooperando alla scissione definitiva delle
sostanze di origine alimentare.
Per esempio, le
proteine vengono denaturate in composti ammoniacali con sviluppo di gas come
idrogeno, metano e altri; i carboidrati danno origine ad acidi come il lattico e
il butirrico.
È questa la digestione secondaria
che avviene nell'intestino crasso. A seconda della prevalenza di uno o di un
altro tipo di batteri (fermentativi, putrefattivi), varia la reazione del
contenuto intestinale. Su queste acquisizioni sono basati appunto molti concetti
di dietetica e di terapia dell'apparato
digerente.
Nel secondo tratto dell'intestino
crasso, cioè il colon, il resto del contenuto intestinale subisce una
concentrazione per assorbimento della sua parte acquosa da parte del colon
stesso. Infine passa nel sigma e si accumula nel retto sotto forma di feci, in
attesa dell'espulsione. Le feci, che rappresentano circa l'ottava parte degli
alimenti ingeriti, sono costituite da prodotti di rifiuto, ossia da sostanze
indigeribili o non digerite, oltre che da prodotti tossici del ricambio
organico.
Dalle sostanze alimentari assimilate
dall'intestino, l'organismo trae l'energia che gli necessita per mantenersi in
vita. Ora occorre tenere presente che, in definitiva, questa energia non
è altro che energia solare accumulata sotto forma chimica dalle
piante.
Nei capitoli precedenti si è detto
che il principale carburante dell'organismo è il più semplice di
tutti gli zuccheri: il glucosio. È su di esso che si basa essenzialmente il
processo respiratorio cellulare; è la sua energia chimica che viene
trasformata in energia meccanica dai muscoli. Ma una semplice occhiata agli
alimenti quotidiani permette di constatare che normalmente essi contengono
quantità trascurabili di glucosio.
Il percorso del chilo nell'intestino tenue
L'ASSORBIMENTO ALIMENTARE
Dopo aver esercitato un'azione
selettiva delle sostanze alimentari, i villi intestinali (vedi figura) li
assorbono nei loro capillari sanguigni e linfatici. Nei capillari sanguigni
entrano gli zuccheri semplici e gli aminoacidi e nei capillari linfatici gran
parte dei grassi ridotti in acidi grassi e
glicerolo.
Sezione dei villi intestinaliLe sostanze assorbite per via
sanguigna sono convogliate al fegato dalla vena porta (vedi figura); quelle che
prendono la via linfatica confluiscono nel dotto toracico che a sua volta le
riserva nella corrente sanguigna attraverso la vena succlavia
sinistra.
L'assorbimento alimentare avviene non
soltanto nell'intestino tenue, ma anche in altri segmenti dell'apparato
digerente: lo stomaco assorbe alcool e zuccheri; l'acqua e varie sostanze che
resistono agli enzimi sono assorbite quasi completamente dall'intestino crasso
dove circa 70 specie di batteri svolgono una lenta opera di fermentazione sui
residui alimentari che vengono così separati dalle scorie e resi
disponibili per l'organismo.
Organi attraverso i quali si compie l'assorbimento alimentare
DALL'AMIDO AL GLICOGENO
Infatti il mondo vegetale
accumula raramente le sue riserve sotto forma di glucosio o di zuccheri
semplici. Le vere riserve, quelle che hanno importanza vitale nel bilancio
energetico del mondo vegetale ed animale, sono costituite essenzialmente dagli
amidi, di cui sono particolarmente ricchi i semi dei cereali e i tuberi come
quello della patata.
II glucosio è un
carburante ideale del mondo vivente a causa della sua solubilità e della
fragilità relativa della sua molecola; e ciò ne facilita il
consumo da parte delle cellule. Ma queste qualità presentano anche dei
seri inconvenienti; una sostanza la cui consumazione è così
facile, non si presta a essere accumulata agevolmente. Se, per esempio, l'amido
del frumento fosse sostituito dal glucosio, questo zucchero si scioglierebbe
alla prima pioggia, quindi non resterebbe come riserva per alimentare la giovane
pianta nel corso di molte settimane.
Per rendere
più duraturi i suoi «granai», la natura è ricorsa a un
artificio: ha saldato fra loro molte molecole di glucosio per formare una
struttura assai più solida, cioè la molecola di amido, costituita
dall'unione di circa 200 molecole di glucosio. E così l'amido, grazie
alla sua elevata massa molecolare, non è più
solubile.
Ma un tale processo di immagazzinamento
richiede, di conseguenza, una tecnica di ritrasformazione dell'amido in glucosio
al momento del consumo.
E questa tecnica è
ben sviluppata nel mondo vegetale: quando un seme di frumento o di orzo comincia
a germogliare, in prossimità del germe si nota l'apparizione di un enzima
speciale che compie progressivamente questa trasformazione a seconda dei bisogni
della pianticella.
Oltre che per le piante, anche
per l'uomo e per gli altri animali l'amido è una molecola che non
può essere consumata direttamente. Come si è detto, la
trasformazione dell'amido in zucchero comincia già nella bocca, per mezzo
della saliva che contiene un particolare fermento, la ptialina. L'azione di tale
enzima è del tutto analoga a quella che avviene nei semi al momento della
germinazione. Così, per poter attingere nelle riserve del mondo vegetale,
il mondo animale non ha fatto altro che imitarlo.
E
questa imitazione è stata spinta ancora più
avanti.
Nel corso della digestione, appare nel
sangue una quantità importante di glucosio che però non può
essere utilizzato subito, ma deve servire per l'alimentazione delle cellule fra
un pasto e l'altro. Occorre dunque immagazzinarlo. E ciò avviene in quel
grande laboratorio chimico che è il fegato, dove il glucosio è
momentaneamente trasformato in glicogeno, una sostanza la cui struttura chimica
è praticamente simile a quella dell'amido. Questa trasformazione e questo
accumulo hanno luogo, come si è già detto, anche nei
muscoli.
Il problema dell'approvvigionamento di
glucosio, chiave di volta del funzionamento energetico del mondo animale,
è così importante che la sua soluzione comincia ad essere attuata
già nel momento in cui i cibi vengono impastati dalla saliva, grazie alla
ptialina che scinde l'amido in uno zucchero meno complesso e alfine, diventato
assimilabile, è in grado di passare nel sangue per servire da carburante
a tutte le cellule dell'organismo.
Se si trattasse
soltanto di risolvere il problema energetico, tutto il resto dell'apparato
digerente sarebbe inutile: un metro di intestino tenue collegato direttamente
con la bocca sarebbe sufficiente per assicurare l'insieme delle funzioni
nutritive. Ma accanto alla questione energetica un altro problema si impone a
tutti gli individui del mondo vivente: il rifornimento delle sostanze destinate
alla crescita e all'integrità del loro organismo. Le cellule sono
costituite essenzialmente di sostanze azotate: le proteine. Si tratta di
molecole molto complesse, formate a loro volta da catene di molecole più
semplici: gli aminoacidi.
L'organismo però
non dispone di alcun organo che sia in grado di compiere la sintesi degli
aminoacidi. Occorre dunque che se li procuri attraverso l'alimentazione. Per la
funzione nutritiva, si tratta ora di svolgere un compito del tutto differente
dal rifornimento di carburante. Si potrebbe quindi dire che l'apparato digerente
esegue nello stesso tempo due compiti diversi.
A
differenza degli animali, i vegetali sono in grado di sintetizzare un gran
numero di aminoacidi: assorbendo i nitrati dal terreno, essi includono, mediante
complicati processi biochimici, l'atomo di azoto in queste molecole organiche
che hanno una parte essenziale nel mondo vivente. Alcuni vegetali sono
più ricchi che altri di proteine, quindi di aminoacidi. Una delle
maggiori fonti di proteine sono i legumi secchi, la cosiddetta «carne
vegetale». È evidente che mangiando la carne di altri animali
l'approvvigionamento di proteine è compiuto in forma molto più
diretta; inoltre questa fonte di aminoacidi è molto più variata di
quella vegetale.
Tuttavia le proteine ingerite
dagli animali non possono essere utilizzate tali e quali dal loro organismo. E
ciò perché fra le proteine di ogni specie animale esistono delle
differenze. Benché siano tutte costruite con la stessa ventina di
aminoacidi, sono di struttura diversa. Le proteine contenute nei cibi devono
essere dunque demolite nei loro costituenti, gli aminoacidi, per essere poi
nuovamente costruite nelle cellule sotto forma di proteine
tipiche.
Si potrebbe dunque dire che ogni animale
dispone, accanto a una fabbrica che produce materia vivente, di un'officina di
demolizione delle grosse molecole apportata dall'alimentazione. Questa officina,
o meglio questo laboratorio biochimico, è appunto l'apparato digerente
che ha il compito primordiale di demolire le complicate architetture delle
molecole alimentari. Grosso modo, la saliva fraziona le molecole di amido; il
succo gastrico distrugge le proteine e le riduce in aminoacidi; il succo
pancreatico attacca i grassi. Dalla bocca all'intestino crasso un gran numero di
ghiandole secerne succhi contenenti enzimi che sono destinati a frazionare le
grosse molecole degli alimenti.
Si è detto
che una parte importante delle proteine elementari proviene dai vegetali, le cui
cellule sono anch'esse costituite da un protoplasma
proteico.
I costituenti essenziali di alcuni semi
alimentari, come il fagiolo, il pisello e la soia, non sono altro che proteine,
Si potrebbe pensare che, in mancanza di animali commestibili, l'uomo potrebbe
vivere nutrendosi esclusivamente di vegetali, trovandovi in abbondanza non solo
proteine, ma anche gli altri fattori essenziali dell'alimentazione, cioè
gli zuccheri (o glucidi), i grassi (o lipidi), le vitamine e i sali
minerali.
GLI AMINOACIDI ANIMALI
Invece è stato dimostrato
senza possibilità di dubbio che l'uomo ha bisogno, come l'insieme degli
animali, di certi aminoacidi (come il «triptofano» e la
«metionina») che si trovano soltanto nelle proteine di origine
animale. Ma da dove vengono questi particolari aminoacidi? Gli erbivori non
rappresentano il punto di partenza di tali sostanze, e nemmeno i carnivori i
quali, mangiandosi gli uni con gli altri, non fanno altro che utilizzare a
catena gli stessi aminoacidi animali.
La loro
origine si trova al confine fra il regno vegetale e quello animale, nel mondo
dei batteri. Questi microrganismi non sintetizzano gli aminoacidi partendo
direttamente dal carbonio, dall'idrogeno, dall'ossigeno e dall'azoto, ma si
limitano a «rimodellare» gli aminoacidi elaborati dai vegetali. Si
tratta dunque solo di una sintesi parziale, ma di capitale importanza
perché produce quegli aminoacidi indispensabili al mondo animale che
mancano del tutto in quello vegetale. L'immensa popolazione batterica che vive
nel suolo e negli oceani rappresenta dunque una riserva inesauribile di
aminoacidi essenziali.
Ora, la prima maglia della
catena alimentare delle proteine animali è costituita da quei divoratori
di batteri che sono i protozoi. Nell'ambiente marino, essi vengono a loro volta
divorati dagli animali microscopici che formano lo «zooplancton»;
questi poi diventano preda dei pesci piccoli i quali sono mangiati dai pesci
grossi, e così via. Nell'ambiente terrestre, i protozoi sono divorati dai
lombrichi e dagli insetti; e questi sia da uccelli sia da piccoli mammiferi come
la talpa e il porcospino.
A questo punto, la catena
sembra interrompersi perché né i pesci né gli insettivori
sono la fonte principale degli aminoacidi essenziali che ha permesso agli
animali superiori di popolare i continenti, e che consente di sussistere
all'insieme degli animali terrestri. Esiste dunque un'altra fonte, e molto
abbondante. Essa si trova nel «rumine», il più voluminoso dei 4
stomachi di cui sono dotati gli erbivori detti appunto
ruminanti.
Con l'«invenzione» del rumine,
il mondo animale realizza due processi di enorme importanza: quello che attinge
a una diversa fonte di approvvigionamento dell'energia, e quello che chiude la
catena di rifornimento degli aminoacidi iniziata dai
batteri.
Infatti la soluzione del mondo animale che
consiste, come si è detto, nel trarre sostanze energetiche dalle sole
riserve dell'amido accumulato dal mondo vegetale, è molto limitata.
L'amido, del resto, rappresenta una modestissima percentuale nella massa totale
delle sostanze vegetali. Le piante sono composte essenzialmente di cellulosa,
che però è indigeribile per quegli animali che, come l'uomo, non
sono esclusivamente erbivori.
Ebbene, la cellulosa
non è altro che glucosio, cioè zucchero, come l'amido. Ma mentre
l'amido è formato da circa 200 molecole di glucosio, la cellulosa
è costituita da molte migliaia di tali molecole. Grazie a questo suo
carattere massiccio, la cellulosa è il principale materiale di struttura
dei vegetali. Il legno non è altro che cellulosa. Per le piante, la
cellulosa non serve però, come l'amido, da sostanza di riserva, non viene
utilizzata come alimento energetico dal mondo
vegetale.
Con i ruminanti, che si nutrono di
cellulosa, il mondo animale realizza un duplice prodigio di biochimica. Il
rumine, che può raggiungere la capacità di 150÷200 litri, si
comporta, per così dire, come una specie di tino da fermentazione.
Batteri in grado di scindere la cellulosa esistono comunemente nel terreno: sono
quelli, per esempio, che distruggono le foglie secche e le erbe morte del
sottobosco. Sono appunto batteri del genere che i ruminanti utilizzano a proprio
vantaggio: nel loro rumine, «seminano» l'erba con questi microrganismi
che sono in grado di trasformare la cellulosa non già in glucosio, ma in
prodotti di ossidazione, cioè in acidi grassi - e quelli a basso numero
di atomi non sono altro che aminoacidi - che passano direttamente nella
circolazione generale attraverso le pareti del
rumine.
E non è tutto. Grazie all'ambiente
favorevole, questi batteri proliferano in abbondanza. Il loro peso diventerebbe
enorme, se il ruminante non li utilizzasse come supplemento alimentare. In tal
modo nulla va perduto: l'animale trae profitto assorbendoli a livello della
mucosa intestinale, dagli aminoacidi essenziali e dalle vitamine del gruppo B
sintetizzati dai batteri del rumine.
Esistono
dunque due vie importanti di introduzione delle proteine cosiddette
«nobili» nel mondo animale: l'una è costituita dallo
zooplancton, dai pesci, dai lombrichi, dagli insetti (alcuni dei quali
digeriscono anche la cellulosa), dagli uccelli e dai mammiferi che si nutrono di
lombrichi e di insetti; l'altra dai ruminanti. Ma queste vie hanno un unico
punto di partenza: il mondo dei batteri che «rimodellano» le proteine
vegetali.
Che cosa ha ereditato l'uomo da tutto
ciò? Una buona media, nel complesso. L'apparato digerente umano non
è orientato, come quello dei ruminanti, verso una utilizzazione
sistematica delle risorse alimentari più abbondanti che esistono in
natura, cioè della cellulosa. L'uomo fa parte di quel settore del mondo
animale che per nutrirsi si comporta da completo parassita. Ma poiché,
grazie alla sua alimentazione carnea, è in grado di saltare la tappa del
ruminante, altri organi, altre facoltà hanno potuto svilupparsi e
perfezionarsi nel suo organismo.
D'altra parte, fra
i viventi che come l'uomo sono detti onnivori perché si nutrono di
sostanze sia vegetali sia animali, esiste una traccia
dell'«invenzione» del rumine degli erbivori: si tratta dell'intestino
crasso, dove le sostanze alimentari residuate dall'assorbimento dell'intestino
tenue restano piuttosto a lungo sotto l'azione di batteri speciali, fra i quali
ve ne sono alcuni in grado di frazionare la molecola
dell'«emicellulosa», meno indigesta di quella della cellulosa vera e
propria. Altri batteri sintetizzano vitamine che vengono assorbite direttamente
attraverso la parete intestinale.
Da quel che si
è detto appare dunque evidente che, a parte i ruminanti e alcuni gruppi
di invertebrati che si alimentano di cellulosa (come i lombrichi e alcuni
insetti), il mondo animale non si è spinto molto innanzi per ciò
che riguarda l'evoluzione dell'apparato digerente, rimasto pressoché
fermo alle sue funzioni primordiali. Funzioni che, dall'ameba all'uomo,
consistono nel procurare alle cellule le sostanze organiche che loro
necessitano.
L'ameba si alimenta con la fagocitosi,
ossia inglobando le sue prede. Le cellulose dell'intestino tenue assorbono le
sostanze nutritive con la pinocitosi, la quale non è altro che una forma
attenuata di fagocitosi. L'ameba va a caccia appoggiandosi sugli
«pseudopodi» (i «falsi piedi», cioè le protuberanze
che essa produce). La cellula dagli orletti a spazzola di un villo intestinale,
imprigionata come è nella mucosa, invece di muoversi verso la preda, si
limita a introdurre gli alimenti inglobandoli in vescicole (pinociti) che poi si
suddividono ed emigrano nel citoplasma dove sono circondate da una moltitudine
di enzimi i quali facilitano l'integrazione, nel citoplasma stesso, delle
microscopiche molecole alimentari. Dall'ameba in poi, anche nel processo
dell'assimilazione la natura è rimasta, grosso modo, al vecchio metodo
della fagocitosi.
Il tubo digestivo non è
altro, appunto, che un tubo.
Il suo compito
principale consiste nello spingere innanzi gli alimenti con movimenti meccanici.
In animali rimasti alle prime tappe dell'evoluzione, come le spugne e le
attinie, l'apparato digerente è solo una cavità generale, non
differenziata. È con i ricci di mare che fa la sua apparizione un tubo
digerente distinto.
Ma in animali così
relativamente semplici esistono già quegli organi complementari e
indispensabili che sono le ghiandole digestive, alle quali spetta il compito di
secernere nel tubo, durante il passaggio degli alimenti, gli enzimi destinati a
demolirli. Resta da chiedersi in quali animali abbiano cominciato ad apparire il
fegato e il pancreas, ossia le due grandi ghiandole che sono indispensabili per
la digestione negli animali superiori.
Ebbene,
sembra che a questo proposito la natura ne abbia avvertito la necessità
molto prima di quello che generalmente si potrebbe supporre: molluschi come le
lumache e le limacce sono dotate di una voluminosa ghiandola digestiva,
«l'epatopancreas», che svolge la duplice funzione del fegato e del
pancreas. È nei pesci che si osserva lo scioglimento di questa associazione fra
le cellule che secernono la bile e quelle che secernono il succo pancreatico.
Dopo questa tappa - e a parte
l'«invenzione» del rumine, che riguarda solo la digestione della
cellulosa - nel mondo animale non si nota alcun miglioramento fondamentale per
ciò che riguarda la funzione digestiva. Si riscontrano perfezionamenti,
ritocchi anche piuttosto importanti, come la possibilità di compiere,
mediante una serie di enzimi, regolazioni alimentari trasformando gli zuccheri
in proteine; o i grassi in zuccheri e
inversamente.
Si può dire, in conclusione
che l'uomo è un onnivoro il quale, in rapporto ad altri organismi il cui
nutrimento è più specializzato, compie la digestione con una
notevole economia di mezzi, attingendo il suo nutrimento dal mondo vegetale e
integrandolo con quello del mondo animale, così da trarre vantaggio dalla
maggior parte delle risorse alimentari di cui la Terra
dispone.
Ma occorre anche osservare che la funzione
digestiva va inquadrata nel campo assai più vasto della nutrizione che
è un continuo flusso di composti organici e inorganici verso e dagli
organismi, ricambio a livello degli organi e delle cellule, sintesi di nuova
materia vitale, demolizione chimica di composti cellulari
invecchiati.
La nutrizione, dunque, non è
soltanto l'assunzione di alimenti dall'esterno, ma il fenomeno altamente
complesso attraverso cui l'organismo trae materia ed energia per sussistere e
per rimodellarsi continuamente, sempre secondo il medesimo
piano.
La nutrizione è la base su cui si
regge l'edificio della vita. Tutte le altre funzioni, dall'attività
muscolare alla circolazione sanguigna, dalla respirazione all'attività
nervosa e intellettuale, non sono che aspetti dinamici con cui si manifesta la
vitalità dei composti organici forniti dall'apparato digerente e
sintetizzati dalle cellule. Non ha dunque senso contrapporre la
«primitività» della nutrizione così intesa alla
«nobiltà» di funzioni appartenenti alla vita di
relazione.